| | Cosa fa la Caritas Ambrosiana |
San Carlo
Borromeo e noi della Caritas La
Diocesi di Milano nell'anno pastorale 2011 ha fissato
l’attenzione
sulla figura di san Carlo Borromeo che il 1 novembre del 1610 fu
proclamato santo. Dunque san Carlo, la sua santità, il suo
essere “buon
pastore”. L’orgoglio con cui noi ambrosiani ci
rifacciamo alle nostre
radici si trasforma immediatamente in responsabilità, quella
di chi si
sente in dovere di continuare sulla strada tracciata da coloro che ci
hanno preceduto. E san Carlo è uno di questi. La
santità di san Carlo
deve essere vista come realtà unificante la sua vita e la
sua opera,
che altrimenti risulterebbe molto frammentata. Si tratta del suo modo
di vivere il Vangelo con serietà e radicalità. In
particolare ci
sembrano cinque le espressioni della santità di san Carlo
meritevoli di
essere assunte nella vita e dunque nella riflessione specie per noi,
operatori della carità.
|
|
1.
Santità come condivisione.
Sappiamo bene che una delle scelte più dirompenti di san
Carlo fu la
decisione - per nulla scontata al suo tempo - di stare, una volta fatto
Vescovo di Milano, accanto al suo popolo, rinunciando alla prassi di
restare a Roma, governando la Diocesi attraverso un delegato.
Sarà
questa scelta che si tradurrà nella decisione di rimanere a
Milano
anche durante il tempo della peste, anche quando le autorità
civili se
ne erano andate. “Stare” in mezzo al mondo in cui
la Provvidenza ci ha
posto, senza cedere alla tentazione di fuggire nel rimpianto dei tempi
passati o in un disimpegno deresponsabilizzante.
2. Santità come
formazione.
San Carlo fu uno dei primi attuatori del Concilio di Trento, testimone
della consapevolezza che doveva finire il tempo di un cristianesimo
automatico, di una appartenenza alla Chiesa che non passi attraverso la
fatica di una scelta personale e sempre nuova. Una scelta che ha nella
“formazione” la sua traduzione pratica. San Carlo
“inventò” i seminari per la formazione
del clero, ma
insieme profuse grandi energie sulla formazione catechistica,
affinchè anche i fedeli laici avessero gli strumenti per una
vita di fede consapevole e matura. Un sentiero che ci vede coinvolti in
prima persona e protagonisti a favore delle nostre presenze
territoriali. 3. Santità come
contagio.
Un aspetto tra i tanti che impressiona nella vicenda di san Carlo
è il “contagio” di santità e
di azione
pastorale che la sua persona ha suscitato già tra i
contemporanei. Vivere la memoria della sua santità ci deve
rendere capaci di appassionare altri rispetto a quanto ci fa ardere il
cuore. Il Beato don Orione diceva di “fare bene il
bene”.
Parlare di santità “contagiosa”
significa che il
bene che facciamo deve far venire ad altri la voglia di farlo. Msg.
Brambilla al Convegno di Caritas Italiana dello scorso aprile invitava
le Caritas più che ad impegnarsi per risolvere ogni
difficoltà, a operare in modo da suscitare il desiderio di
altri
a coinvolgersi in questo impegno: “il nostro impegno non
è
di salvare tutti, ma di fare in modo che siano in molti (se non ...
tutti) a sentire che il servizio della carità non
è un
ornamento della vita cristiana, anzi semplicemente della vita umana (e
alla fine la sorpresa sarà che ne salveremo molti di
più).” 4. Santità come
capacità di “farsi prossimo”.
Occorre sottolineare il grande impegno caritativo di san Carlo e non
solo in riferimento alla peste. C’è un impegno
anzitutto
personale di san Carlo: egli paga di persona con le proprie risorse e
la sua assidua presenza in mezzo ai bisognosi. Ma
c’è
anche il suo impegno a suscitare le iniziative e la
generosità
di altri. Ne celebreremo la memoria in modo degno se sapremo leggere le
“pesti” del nostro tempo e se ne sapremo trarre
indicazioni
per scelte di coinvolgimento personale. In questa prospettiva
l’impegno della Diocesi sarà anche quello di
individuare
il modo più opportuno per celebrare i 25 anni dal Convegno
Farsi
Prossimo. Con una preoccupazione e un obiettivo: che Farsi Prossimo non
abbia a che fare solo con Caritas Ambrosiana, ma con tutta la Diocesi,
e che aiuti tutta la comunità diocesana a riappropriarsi
dell’alfabeto della carità. 5. Santità come riforma.
San Carlo è sempre visto come grande
riformatore-organizzatore
della Diocesi di Milano, in attuazione del Concilio di Trento. Ma
spesso si dimentica che la dimensione della riforma san Carlo
l’ha vissuta anzitutto nella sua esistenza, in una stagione
in
cui la Chiesa era “scontata” e la
società
pacificamente cristiana, ma aveva “perso il sapore del
Vangelo”. Una prospettiva che ci coinvolge, noi specialisti
dei
poveri, affinché possiamo sconfiggere la tentazione di
diventare
dei mestieranti e di perdere “il sapore della
carità”. Contro ogni
riduzione del concetto
di santità a fuga dal mondo, quella di san Carlo ci riporta
coi
piedi per terra e ci mette di fronte ad una capacità di
ascesi
che si giustifica dall’amore per il crocifisso e dalla
responsabilità per i fratelli a noi affidati.
Don Roberto Davanzo |